Cobue, quando il Lugana non basta

“Non chiamateci monoluganisti”. Potrebbe essere questo lo slogan che sintetizza la filosofia di Gilberto Castoldi, che con la sorella Simona, il padre Aurelio e la madre Laura Gettuli gestisce l’azienda Cobue: siamo a Pozzolengo, nel cuore di quella “Lugana Valley” che ormai sta esportando in tutto il mondo sull’onda di un fenomeno che pare ormai inarrestabile, eppure questa cantina sembra quasi decisa ad andare controcorrente, dedicando al famoso bianco del Garda solo il 50% di una produzione da 100 mila bottiglie. Ed il resto? Beh, per esempio da Cobue credono ancora tantissimo nel San Martino della Battaglia, altro bianco Doc della zona che negli anni è stato soppiantato dalle fortune del ben più conosciuto cugino, ma che un manipolo di produttori continua a tenere in vita coltivando le capricciose ma infine assai ripaganti uve Tuchì (come sul Garda Bresciano è stato ribattezzato il Tocai dopo che l’utilizzo del nome originale del vitigno è stato riservato dalla Comunità Europea alla sola Ungheria). Nella gamma di nove etichette troverete per altro un solo Lugana, il Monte Lupo: c’è però un Garda Classico Rosso (Il Poggio) premiato come Vino Quotidiano nella guida Slowine 2016, c’è un Marzemino in purezza, ci sono due bollicine rigorosamente blanc de blanc, quindi Chardonnay 100%, brut e pas dosè, messe in commercio solo dopo un affinamento di 36 mesi sui lieviti. E poi ci sono i due Getulio bianco e rosso, due Igt Benaco Bresciano considerati un po’ i fiori all’occhiello, che riprendono il nome mamma Laura Gettuli, originaria di Valeggio sul Mincio e proprietaria dell’azienda di famiglia ereditata dal padre.

“Il nonno aveva fatto fortuna a Milano in altri campi e aveva il pallino di tornare in zona creandosi un’azienda agricola tutta sua – racconta Gilberto -. Nel ’70 acquistò questa tenuta dove già si produceva vino ovviamente sfuso insieme a latte, suini, seminativi… E’ stato lui a trasmettermi la passione per la campagna: da piccolo mi portava nei vigneti ed al mercato del bestiame, questo mondo mi ha sempre affascinato. Ho provato anche a fare qualche altro mestiere ma poi sono tornato qui per occuparmi dell’azienda a tempo pieno: e nel 2005 ho per così dire firmato la prima vendemmia del nuovo corso”.

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Cobue è quindi un marchio in fondo ancora giovane, ma sicuramente determinato: gli ettari vitati sono 15 sui 25 totali della tenuta (“E non ne pianteremo di più”, dice Castoldi), la nuova cantina è stata realizzata nel 2013 completamente in interrato, e l’obbiettivo è arrivare a 150 mila bottiglie una volta che l’intero vigneto, collocato a ferro di cavallo intorno alla sede centrale, sarà pienamente a regime dopo gli impianti più recenti. Presto nascerà anche un agriturismo all’avanguardia con piscina, una casa-clima passiva a zero consumo con un totale di 20 posti letto, sala degustazione ed eventi, e chissà, prossimamente anche ristorazione. E così si completerà il profilo di una realtà che Gilberto definisce come “entità di territorio”.

“Non siamo monoluganisti per scelta precisa – spiega- . Noi vogliamo fare il vino Cobue, vogliamo che la gente chieda la qualità Cobue, non che compri semplicemente il Lugana perché sta tirando. Le vacche gasse non sono eterne: per questo abbiamo deciso di diversificare”.

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E l’azienda è in controtendenza anche per quanto riguarda la diffusione dei prodotti.

“Il nostro mercato è fatto al 90% dall’Italia e al per il restante 10% dalla Germania. Non abbiamo la fissa di esportare a tutti i costi anche se abbiamo cominciato a muoverci in Estonia e negli Usa. Ma soprattutto siamo orgogliosi di presidiare il territorio, con la provincia di Brescia che rappresenta il 50% delle nostre vendite, e di essere presenti nelle carte di tutti gli stellati del Garda e del bistellato Miramonti L’Altro a Concesio”.

 

La Bottiglia.

Il San Martino della Battaglia Doc Monte Olivi è forse il vino cui Gilberto Castoldi e la sua famiglia tengono di più. “Il 10% della nostra produzione è rappresentato dal Tuchì e tra l’anno scorso e quest’anno ne abbiamo piantato quasi un ettaro – spiega il titolare non senza orgoglio -. Inoltre stiamo innestando nostri cloni su sui vecchi vigneti messi a dimora dal nonno ancora negli anni ’70”.

Uno sforzo ammirevole per contribuire a salvare un vino ormai quasi in via di estinzione, ma che anche nella passionale, delicata declinazione di Cobue conferma una rinascita da seguire con estrema attenzione: il Monte Olivi conquista con un corredo aromatico elegante, un’acidità ben calibrata, una freschezza esuberante, configurandosi come alternativa di grande fascino e personalità allo strapotere dei Lugana. Ed occhio perché da Cobue con il Tuchì fanno anche un vendemmia tardiva chiamato Passum, di cui Gilberto produce circa 2000 bottiglie da uve surmaturate esclusivamente in pianta pensando all’abbinamento con i formaggi ed al suo amore per gli “eiswein”.

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